Quanti musicisti hanno dovuto interrompere la loro carriera a causa di patologie dovute alla troppa pratica? A Mondomusica si parlerà anche di come prevenire e curare i più diffusi disturbi che affliggono i musicisti di ogni livello.

I rischi della pratica musicale, la prevenzione e la cura saranno oggetto del Seminario, ospitato alla XXVII edizione di Mondomusica in programma a CremonaFiere dal 26 al 28 settembre 2014, e condotto dal dott. Piero Budassi, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Osteoarticolare e Direttore Medico dell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia degli Istituti Ospitalieri di Cremona.

 Cremona, 19 settembre 2014 – L’intenso studio della tecnica musicale può provocare disturbi fisici di vario tipo; moltissimi musicisti professionisti e non, lamentano problemi posturali legati alla prolungata attività di studio ed esecuzione con il proprio strumento. Spesso la fase di esercizio prevede l’esposizione a posture scorrette per diverse ore al giorno sin dalla giovane età; questa attività causa disturbi muscolo-scheletrici e patologie dolorose che, se non curate, possono risultare invalidanti.

 Proprio di queste problematiche si parlerà nel seminario “Prevenzione e trattamento delle patologie nella pratica musicale” che si terrà sabato 27 settembre dalle ore 10.30 alle 12.30 in Sala Guarneri del Gesù nell’ambito degli Stati Generali della Musica 2.0 di Mondomusica (CremonaFiere 26-28 settembre). A condurre il seminario sarà il dott. Piero Budassi insieme ad un panel di medici esperti nella patologie professionali dei musicisti; quali sono le principali patologie a cui va incontro un musicista.

 “Nella maggior parte dei casi, i musicisti – dice Budassi – vanno incontro ad alterazioni di tipo funzionale, caratterizzate da una perdita della coordinazione tra funzioni dovuta alla peculiarità della prassi musicale. L’obbligatorietà delle posture richieste, la ripetitività dei gesti ed il lungo tempo necessario allo studio ed alla preparazione, comportano un alto rischio di disfunzione. Questo, nel tempo, può indurre al progressivo instaurarsi di alterazioni organiche, con la trasformazione del problema in vera e propria patologia. Poiché lo studio di uno strumento musicale inizia generalmente in età infantile, e si estende per tutta l’età evolutiva, non vanno trascurati i sintomi, anche lievi, che si possono manifestare fin da questo stadio. Essi vanno considerati come veri e propri campanelli d’allarme.”

 Esistono studi statistici sull’incidenza di questo tipo di patologie?

“Difficile parlare di statistiche. Nel mondo la ricerca si è diffusa a macchia di leopardo e non mi risulta siano presenti studi sistematici capaci di misurare il fenomeno. La sensazione è che moltissimi strumentisti sono afflitti da disturbi in qualche modo riconducibili all’oggetto della nostra riflessione. Spesso questi disturbi sono sottovalutati, talvolta ben individuati e curati, sovente trattati attraverso percorsi alternativi. In alcuni casi raggiungono progressivamente un livello di gravità tale da determinare l’abbandono della pratica dello strumento.”

 Quali sono le parti del corpo del musicista maggiormente coinvolte e soprattutto quali sono le conseguenze sulla carriera?

“Il rachide, il cingolo scapolo-omerale e l’arto superiore sono frequentemente interessati, ma non possiamo non considerare altri organi e apparati, per esempio la funzione respiratoria in chi la usi per la prassi musicale. Queste patologie influenzano l’iter professionale fin dall’inizio. Sovente l’abbandono precoce dello studio musicale è determinato da sofferenza fisica percepita già nel corso dei primi anni. Qualsiasi altro momento della vita di un musicista può essere funestato dalla comparsa di disfunzioni importanti. Nel caso di carriere particolari, come quelle di che mantiene posizioni asimmetriche a lungo, l’anzianità di “servizio” peggiora sostanzialmente le cose.”

 Quali sono le più attuali terapie e che benefici possono portare?

“Dipende dalla natura della disfunzione o della franca patologia manifestatasi. In alcuni casi ci si limita ad una “rieducazione”, in altri si arriva addirittura alla Chirurgia. Sottolineo il fatto che la parte del leone è svolta dagli interventi di tipo preventivo, basati sull’identificazione del rischio specifico. In Italia la comprensione e la cura dei fenomeni di cui parliamo è tipicamente a “macchia di leopardo”. Esistono piccoli centri in cui per vari motivi, spesso legati alla passione di singoli, si concentra una qualche capacità operativa o di ricerca, ma manca un coordinamento. All’estero, al contrario, esistono numerosi esempi di collaborazione tra facoltà di Medicina e Conservatori e parecchi centri contribuiscono all’incedere della conoscenza o al trattamento specifico di aspetti patologici. La frontiera della conoscenza, a mio avviso, si sta spostando sulla comprensione degli schemi motori collegati alla prassi musicale.”

 Quali sono attualmente i progressi nello studio e nella cura delle patologie di questa categoria professionale?

“Analizzare il movimento con le tecniche oggi a disposizione – conclude Budassi – permetterà di chiarire come l’organismo interagisce con lo strumento. Da un altro punto di vista identificare i vari aspetti del cosiddetto “rischio specifico”, personali, legati alla prassi ed alle consuetudini, legati all’identità metabolica del soggetto permetterebbe di tessere una modalità di intervento precoce o preventivo. Nell’ambito delle tecniche chirurgiche, l’identificazione delle vie meno invasive e più funzionali, applicate al musicista, consentirà allo stesso di non interrompere, o al massimo di farlo per poco, la pratica dello strumento.”