OSSERVATORIO AGRI&FOOD DI CREMONAFIERE Notiziario n.37 del 17 dicembre 2014

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LATTE

Parmigiano Reggiano, i costi di produzione calano ma la redditività non aumenta

Per i produttori di latte destinato alla trasformazione in Parmigiano Reggiano, il 2014 si chiude con il segno negativo, che purtroppo le previsioni vedono confermato almeno per i primi mesi del 2015. Nei giorni scorsi il Crpa di Reggio Emilia (Centro ricerche produzioni animali) ha organizzato un convegno durante il quale sono stati illustrati i costi di produzione sopportati dagli allevatori nel 2013 ed è stato analizzato l’andamento della redditività nel 2014, con uno sguardo previsionale sul 2015. Relativamente ai costi di produzione, il Crpa ha preso a campione 20 aziende zootecniche di medie dimensioni, dislocate in pianura padana, con una produzione, ognuna, di circa 90 vacche in mungitura. Gli analisti hanno suddiviso i costi in due parti, i cosiddetti diretti (alimentazione, gestione aziendale, benessere) e i calcolati (ammortamenti, interessi e altri fattori di produzione) arrivando a una cifra complessiva di 58,2euro/q, e registrando sull’anno precedente una leggera flessione, posto che nel 2012 la cifra aveva superato di poco i 60euro/q. Per quanto riguarda i ricavi, il latte ha garantito 53,27euro/q, mentre dai vitelli da carne e dai premi Pac sono arrivati 59,77euro/q, riuscendo quindi a raggiungere un margine positivo.

Le dolenti note, come si diceva all’inizio, arrivano dall’anno che sta per concludersi perché nonostante i costi, soprattutto alla voce alimentazione, segneranno durante le analisi degli esperti un calo, il crollo dei prezzi registrato durante l’intero 2014, che molto probabilmente si confermeranno anche nella prima parte del prossimo anno, non garantiranno agli allevatori una equa redditività. Infatti, secondo le analisi del Crpa, per coprire i costi di produzione e di trasformazione, il prezzo del formaggio, nel 2014, avrebbe dovuto incassare una media di 9euro/kg. La realtà è che non ha superato i 7euro/kg.

 SUINI

Novembre ha chiuso col segno positivo. Ma non basta a compensare le perdite di un anno

A novembre i prezzi dei suini da macello hanno registrato un incremento. Lo rende noto Crefis (Centro ricerche economiche delle filiere suinicole) di Mantova nella sua analisi mensile sull’andamento della suinicoltura italiana. Il prezzo medio mensile dei capi pesanti quotati alla Cun è infatti cresciuto del 2,4% rispetto a ottobre, fissando l’asticella a 1,421euro/kg. Un momento positivo che non compensa però i ribassi dei mesi precedenti al punto che il confronto con novembre di un anno fa incassa un -6,5%. Male invece i prezzi dei suinetti da allevamento, arrivati a Mantova a 1,985euro/kg, pari a -6,7% rispetto al precedente mese di ottobre e addirittura a -11,5% su base tendenziale. Segno meno anche per la macellazione che, complici l’aumento dei costi per l’approvvigionamento di suini da macello e la pesantezza del mercato delle cosce, ha visto la redditività scendere del 2,4% rispetto a ottobre, anche se nel confronto con un anno prima mantiene il dato positivo con un +6,3%. Per quanto riguarda la fase di stagionatura, la redditività a novembre ha registrato un aumento nonostante il prezzo del prosciutto Dop sia diminuito. Il Prosciutto di Parma leggero, infatti, ha quotato 6,850euro/kg, cioè l’1,4% in meno rispetto a ottobre e il 3,6% in meno su novembre 2013. La tipologia più pesante è invece rimasta stabile a 7,300 euro/kg. Negative le variazioni tendenziali per entrambe le tipologie di peso, rispettivamente -3,6% e -1,7%. Malgrado ciò, l’indice Crefis di redditività segna un recupero del +3,2% per la tipologia leggera e +3,7% per quella pesante grazie alle riduzioni dei prezzi delle cosce fresche a inizio stagionatura. Tuttavia, questo recupero non favorisce la risalita della redditività delle produzioni tipiche su quelle non Dop: -16,2% per la tipologia dei prosciutti leggeri e -5,4% per quella pesante.

 NUOVE PRATICHE DI COLTIVAZIONE

Nei Psr 2014-2020 più spazio all’agricoltura conservativa

La sostenibilità ambientale delle aziende agricole è stata messa al centro dei nuovi Programmi regionali di sviluppo rurale 2014-2020 attraverso il finanziamento di buone pratiche e tecnologie sostenibili, tra cui è spesso inclusa la cosiddetta agricoltura conservativa. Lo si legge nella periodica newsletter del Crpa di Reggio Emilia (Centro ricerche produzioni animali). Sono almeno 14, si legge, le regioni italiane che intendono attivare tra i pagamenti agro-climatici-ambientali dei nuovi Psr schemi di pagamento volti a favorire l’adozione delle pratiche di agricoltura conservativa che, per unità di superficie, andrebbero a compensare i maggiori costi e i minori guadagni che gli agricoltori potrebbero scontare nel cosiddetto “periodo di transizione” tra il sistema di coltivazione convenzionale e quello conservativo. L’agricoltura conservativa, conosciuta anche come Agricoltura blu, si basa sull’insieme di tre pratiche agronomiche fondamentali:

1) alterazione minima del suolo (non lavorazione o minima lavorazione praticate in modo continuativo nel tempo);

2) copertura permanente del terreno (con residui colturali e con cover crops, cioè colture di copertura);

3) rotazioni e consociazioni colturali.

L’adozione di queste pratiche, assieme e protratte nel tempo, interessa ormai il 10% della Sau mondiale, pari a circa 120 milioni di ettari, con punte nelle Americhe in Australia, mentre in Europa la diffusione maggiore ad oggi la si registra in Francia e in Spagna. In Italia le esperienze non sono molte, ma alcune stanno avendo successo e l’esistenza di almeno due associazioni che sul territorio nazionale raggruppano diversi produttori “blu” testimonia che tale metodologia di coltivazione è ormai sdoganata.

 ALIMENTAZIONE ANIMALE

Dai rifiuti organici si può ricavare una farina proteica

Aumentano le ricerche per la produzione di ingredienti dedicati all’alimentazione degli animali da allevamento che siano sostenibili e non incidano quindi in modo eccessivo sull’ambiente e sulle risorse disponibili. Ne dà conto nella sua newsletter “Mangimi & Alimenti”, il periodico di Assalzoo. Un gruppo di studiosi danesi infatti, ha messo a punto un metodo grazie al quale entro tre anni, mediante una tecnologia di fermentazione appositamente brevettata, sarà possibile produrre dai rifiuti organici una farina proteica simile dal punto di vista nutrizionale alla farina di pesce e di soia, in grado quindi di prendere il loro posto all’interno dei mangimi per gli animali da allevamento. Questa tecnologia, che permette al gas naturale sprigionato dalla fermentazione di convertirsi in granuli proteici, si chiama U-Loop ed è stata brevettata da una azienda biotech della Danimarca e dal settembre del prossimo anno la Technical University of Denmark ne testerà il funzionamento su più larga scala. Per l’autunno del 2015 quindi, dovrebbero essere pronte le prime “ricette” per la produzione di diverse farine proteiche. Già ora, l’azienda danese sta lavorando con la Technical University of Denmark e con la Aarthus University per ricavare una forma specifica di farina proteica in cui il profilo aminoacidico sia adatto per essere somministrato ai maiali.