LATTE
Il Grana Padano Dop protagonista al Palazzo di Vetro dell’ONU di New York
Il Grana Padano rafforza il proprio ruolo di ambasciatore del made in Italy a livello internazionale e sbarca al Palazzo dell’ONU di New York. Lo rende noto il Consorzio di tutela a seguito della recente partecipazione del presidente, Nicola Cesare Baldrighi, al Palazzo di Vetro nell’ambìto della presentazione del magazine “Eccellenze italiane”, official partner dell’ONU durante Expo 2015 che partirà tra pochi giorni a Milano. “Il livello qualitativo del Grana Padano – ha affermato il presidente del Consorzio – è garantito oltre che da un Disciplinare preciso e puntuale, da 10mila controlli annui effettuati a ogni livello, che certificano una produzione di oltre 4 milioni e mezzo di forme/anno, delle quali più di 1,5 milioni esportate oltre confine. Il nostro miglior biglietto da visita è proprio il successo che continuiamo a ottenere tra i consumatori non solo italiani, ma anche internazionali: non è certamente un caso che l’export, nel 2014, sia aumentato del 4,5%. Un primato – ha aggiunto Baldrighi – che anche in vista dell’Expo deve stimolarci a fare ancora di più. Anche a New York abbiamo ribadito che è vietato abbassare la guardia contro le scimmiottature e le contraffazioni che penalizzano in maniera pesante i consumatori, il made in Italy e le aziende produttrici”.
Guardando poi alle importanti tematiche del sostegno alle popolazioni più povere, Baldrighi ha così concluso: “Occorre aiutare e sostenere coltivazioni e allevamenti, trasformazione e commercializzazione dei prodotti nei Paesi d’origine. Noi produttori di eccellenze dobbiamo portare le nostre esperienze nelle nazioni che a loro volta possiedono tipicità da far conoscere. Andiamo a condividere il nostro know how per tutelare quei prodotti e creare una filiera nei territori. Diamo dunque il benvenuto a chi vuole entrare sui mercati per crescere e trovare risorse, non solo economiche, per battere la fame e la povertà”.
SUINI
Nel 2014 boom di cosce estere importate: +8,5%. E intanto crollano i consumi interni del Parma
Secondo le stime Anas (Associazione nazionale allevatori suini) elaborate su dati diffusi dall’Istat, nel 2014 l’importazione di cosce suine fresche e congelate, incluse quelle importate con le carcasse/mezzene, è aumentato dell’8,5% rispetto al 2013, per un totale di oltre 62 milioni di pezzi. Questo deciso aumento è stato accompagnato anche da un incremento delle esportazioni di prosciutti lavorati: l’export dei crudi è aumentato dell’11% circa e quello di prosciutti cotti del 4,3% rispetto al 2013.
Sempre secondo le stime elaborate dall’Anas, lo scorso anno la produzione potenziale nazionale di cosce suine è stata pari a circa 23 milioni di pezzi (-3,4% rispetto al 2013). Considerata la stima del numero delle cosce complessivamente importate ed esportate, il numero delle cosce suine utilizzate in Italia nel 2014 dovrebbe ammontare a circa 76 milioni, in aumento del 4,6% sul 2013. Il calo produttivo a livello nazionale ha determinato un abbassamento del grado di autoapprovvigionamento italiano di cosce suine, passato dal 32,8% del 2013 al 30,3% dello scorso anno.
Crollano però nel frattempo i consumi del Prosciutto di Parma Dop, che ha chiuso il 2014 con una produzione di circa 8.800mila prosciutti: -3,2% rispetto al 2013. I dati sono stati diramati nei giorni scorsi dal Consorzio di tutela, che ha sottolineato come il 70% della produzione sia ancora assorbita dall’Italia, pur rimarcando un calo del 6,1% sull’anno precedente, mentre per il prosciutto crudo in generale, il calo è stato di un -8,9%. Bene invece l’export che, come ha sottolineato il presidente Paolo Tanara, “negli ultimi dieci anni è cresciuto di quasi 1 milione di pezzi portando la quota sul totale della produzione annuale al 30% dal 18% iniziale. I mercati internazionali hanno assorbito oltre 2.600mila Prosciutti di Parma, con un aumento sul 2013 di 88mila pezzi (+3,5%) per un fatturato stimato di 250 milioni di euro. Molto bene il mercato USA con 565mila prosciutti esportati pari a una crescita del 12,5%, ma ottimo anche il risultato ottenuto in Giappone (+3%) e in Australia (+8%).
AVICOLO
Riunita a Roma l’avicoltura internazionale. L’Italia brilla per tecnologie e know how
La filiera avicola italiana è un modello virtuoso da esportare nel mondo. E’ questo il concetto emerso al termine dell’incontro che si è svolto nei giorni scorsi a Roma, organizzato da Unaitalia (Unione nazionale filiere agroalimentari carni e uova) e che ha richiamato nella capitale i principali rappresentanti del comparto a livello internazionale per discutere le strategie globali per un sistema sempre più equilibrato e sostenibile. “Le tecnologie e il know how dell’industria avicola italiana – ha affermato nel suo intervento Carlo Prevedini di Unaitalia – assieme alle caratteristiche strutturali di una filiera fortemente integrata e completamente autosufficiente, offrono un modello di eccellenza non standardizzato e su misura alla sfida proposta da Expo 2015. In questo senso, abbiamo voluto raccontare ai nostri colleghi e partners di tutto il mondo la filiera avicola italiana e i contenuti della presenza all’esposizione internazionale di Milano dell’avicoltura nazionale: stili di vita corretti, dieta mediterranea e cultura del cibo sono i plus italiani da esportare”. Il settore avicolo italiano conta più di 6.200 allevamenti in tutto il Paese suddivisi in allevamenti da ingrasso, ovaiole, riproduttori e svezzatori, a cui si aggiungono 400 stabilimenti per la produzione di mangimi, 174 macelli piccoli e grandi e oltre 500 stabilimenti per il taglio e l’elaborazione di prodotti e preparazioni a base di carne. Una filiera integrata dunque, che si ispira all’approccio europeo del From Farm to Fork. Nel 2014 la produzione italiana di carni avicole è stata di 1.261.200 tonnellate (+0,2% sul 2013) e di 12,6 milioni di uova. Nell’ultimo anno, si legge in una nota di Unaitalia, la produzione interna e il consumo di carne di pollo hanno mostrato un sensibile aumento rispettivamente del +1% e del +2,3%, che è stato comunque bilanciato dal calo registrato per il settore del tacchino e delle altre specie avicole.
MANGIMI
Le colture Gm sono sicure. Lo conferma un recente studio americano
Un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori del Department of Animal Science dell’University of California di Davis, afferma che i mangimi prodotti con colture geneticamente modificate sono sicuri e nutrizionalmente equilibrati alla pari dei mangimi contenenti alimenti non Gm e provenienti esclusivamente da colture convenzionali. La notizia arriva da Assalzoo, Associazione nazionale produttori italiani di alimenti zootecnici. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Animal Science ed evidenzia che l’uso di materie prime Gm non comporta alcuna alterazione nella salute e nella produttività degli animali. Il team di ricercatori ha preso in esame i dati sulla produttività e sulla salute degli animali da allevamento a partire dal 1983, cioè prima dell’introduzione delle colture geneticamente modificate, fino al 2011. In totale sono stati presi in considerazione i dati raccolti su oltre 100 miliardi di capi di bestiame. Dallo studio è così emerso che nessun “Insolito trend” è stato rilevato riguardo la salute o la produttività degli animali a partire dal 1996, anno a cui risale la prima semina delle colture geneticamente modificate. Di più. Dalla ricerca emerge anche che il latte, la carne, le uova e gli altri prodotti derivati da animali alimentati con mangimi contenenti prodotti Gm risultano del tutto indistinguibili dai prodotti derivati da animali alimentati con mangimi privi di prodotti Gm. Giuseppe Pulina, coordinatore della Conferenza nazionale dei presidi e dei direttori di Agraria e coordinatore del Comitato scientifico di Assalzoo afferma inoltre che “va sottolineato il fatto che la seconda generazione di colture Gm sta introducendo caratteri ben posizionati sul genoma in grado di aumentare le performance produttive, sia delle colture che degli animali”.