OSSERVATORIO ARCHI E TASTI DI CREMONAFIERE Notiziario n. 5 del 09/07/2015 a cura dell’Ufficio Comunicazione di CremonaFiere.

I DIVERSI TIPI DI MEMORIA MUSICALE

La pianista americana Lois Svard da anni applica i principi delle più recenti scoperte delle neuroscienze allo studio dell’apprendimento musicale. I risultati delle sue ricerche sono pubblicati nel suo blog www.themusicianbrain.com, ricco anche di consigli pratici per migliorare l’apprendimento musicale e la performance. Nel seguente link, ad esempio, Lois Svard analizza i diversi tipi di memoria che un musicista usa nell’imparare o nel suonare un brano. La memoria può essere, quindi, a corto o lungo termine, implicita o esplicita, semantica o episodica. Una maggiore consapevolezza dell’uso della memoria può certamente migliorare il rendimento nelle performances musicali e, più in generale, la nostra qualità di vita.

COME CAPIRE IL VERO SIGNIFICATO DELLA MUSICA?

Il violoncellista inglese Steven Isserlis è uno dei più autorevoli interpreti del nostro tempo, e, come tutti i grandi musicisti, è anche un vero “pensatore” musicale, che cerca di approfondire il più possibile le partiture per avvicinarsi al messaggio che i compositori ci hanno voluto tramandare attraverso le loro opere. In un suo recente post nella sua pagina Facebook ufficiale, Isserlis si sofferma sull’importanza dei dettagli indicati dai compositori nelle partiture: proprio analizzando con attenzione tutti i segni di articolazione e dinamica, sostiene Isserlis, possiamo comprendere più a fondo le intenzioni espressive e gli stati d’animo che i compositori volevano comunicarci. Nel suo testo, il violoncellista si sofferma sulle prime battute della partitura del Concerto per violoncello di Robert Schumann, evidenziando come proprio dalla posizione di accenti, legature e indicazioni di tempo sia possibile comprendere meglio il significato profondo dell’opera stessa. Il lavoro dell’interprete musicale, dunque, è simile a quello di un detective, scrive Isserlis, con la differenza che in questo caso non si tratta di investigare una scena di un atto criminale, ma di esplorare i segni che ci consentono di accedere al magico mondo di Robert Schumann.

Messaggi dall’aldilà
Steven Isserlis

Pubblicato in inglese sulla pagina FaceBook

Traduzione di Roberto Prosseda

Avendo recentemente tenuto master classes in molti paesi con studenti di vari livelli, sono rimasto colpito da una tendenza generale (anche se in gradi diversi, ovviamente): il non saper recepire i messaggi che i compositori ci hanno lasciato. Beh, forse è un modo piuttosto negativo per iniziare questo discorso, soprattutto se si considera la quantità di notevoli talenti che ho incontrato; ma è pur vero che molti degli studenti a cui ho insegnato, anche dopo aver memorizzato una partitura, non sono riusciti a ricordare i semplici segni dinamici, di tempo o di articolazione indicati del compositore. E questo significa che non hanno veramente memorizzato – né capito – l’opera in questione. Naturalmente, non è sufficiente seguire pedissequamente le indicazioni nella partitura: ogni autore, ogni brano, ha il proprio linguaggio che deve essere adeguatamente interpretato e contestualizzato. Ma dobbiamo imparare ad ascoltare quello che i compositori ci vogliono comunicare attraverso i loro segni. Studiando il concerto per violoncello di Schumann, ad esempio, come io sto facendo in questo momento, rimango colpito da quanto sono precisi ed eloquenti i “messaggi” dell’autore. Naturalmente, si deve prima di tutto usare una buona edizione per essere sicuri che i segni non siano stati modificati o aggiunti dai revisori. Dopo averlo fatto (e fidandosi del fatto che tutti i segni in queste edizioni – basate sul manoscritto – siano tutti di Schumann e non di un violoncellista; e io ne sono certo: sono di gran lunga troppo poco pratici per essere stati suggeriti da un esecutore!), bisogna esaminarli con attenzione, e continuare a riesaminarli ogni volta che si suona il brano.
Le prime indicazioni interessanti appaiono già prima dell’entrata del violoncello solista. L’indicazione di tempo “Nicht zu schnell” (non troppo veloce) viene “neutralizzata” (per la maggior parte delle menti, almeno) da una indicazione metronomica che sembra essere troppo rapida: 130 alla semiminima. È una scelta curiosa, dato che il valore di 130 non appariva sulla scala della maggior parte dei metronomi meccanici, che passavano direttamente da 126 a 132. In realtà, 130 è stato un compromesso tra la volontà di Schumann, che pensava ad un valore ancora più veloce, e il violoncellista piuttosto idiota con cui si era confrontato, che avrebbe voluto un tempo di 92! Per me, 130 è veramente troppo veloce per far emergere la poesia della musica con un respiro naturale; ma non si può ignorare il messaggio insito in questa indicazione di tempo. Questo movimento è spesso suonato come un tempo lento; eppure anche soltanto dall’indicazione metronomica (per non parlare degli innumerevoli altri modi con cui Schumann suggerisce l’andamento del tempo) si può dire che questo è sbagliato. L’altro “messaggio” interessante in quelle prime quattro battute è la legatura sulla frase suonata dai legni. Quante volte questa viene ignorata! Eppure la forma che si dà alla frase è essenziale. Inoltre, di tanto in tanto i direttori vogliono prendere quelle prime tre battute con un tempo lento, accelerando il tema del violino nella battuta 4. Per me ciò non ha senso, dal momento che il violoncello quando entra riprende quella stessa frase dei legni, e, se la suona ad una velocità completamente diversa, il riferimento viene perso.
Anche in questo caso, c’è un “messaggio” nel ritmo della frase dei violini a partire dalla battuta 4, e la linea sincopata dei violoncelli da battuta 5. Ciò implica un’esecuzione con fluidità e tensione; un buon modo per scegliere il tempo adeguato è di ascoltare queste parti senza la linea del violoncello solista. Inoltre, quando il violoncello solista entra, c’è un “messaggio” interessante insito nelle prime due battute. Queste sono unite da una legatura, eppure c’è un accento sulla seconda nota, il La. Che cosa può significare l’accento? Non è ovviamente un accento brusco, perché, se lo fosse, comporterebbe un cambio d’arco. Potrebbe essere solo un invito a vibrare quella nota? Molto probabilmente sì. O è una esitazione espressiva? O esprime semplicemente la direzione verso la tonica? Oppure altro ancora? In questo punto l’interpretazione di ogni solista sarà diversa, ed è giusto che sia così, a condizione che l’accento non sia completamente ignorato. (Esso è anche un’interessante indicazione del significato che un tale accento può assumere per Schumann – così come il segno “fp”, presente successivamente nei violini e nei fagotti all’inizio della delicata seconda idea, ci dice molto sul significato che il segno “fp” implica per l’autore.) Si può considerare quella legatura nelle prime due battute come un’arcata unica, ma non è detto. Per me, suonarla tutta in un’unica arcata comprimerebbe troppo il suono; ma, se si decide di cambiare arcata, allora si deve mascherare il cambio d’arco, in modo che sia comunque percepita la legatura. Tutte le arcate in questa prima frase sono affascinanti, del resto, per via delle note che legano insieme, ma anche per quelle che separano. Anche in questo caso, non c’è bisogno di prendere le legature alla lettera come fossero arcate – nonostante il fatto che Schumann abbia suonato il violoncello nella sua giovinezza, egli, ovviamente, non pensa qui in termini pratici; ma bisogna sempre considerare le implicazioni di questi segni per il fraseggio.
E così nell’arco di tutta la partitura Schumann costantemente comunica con noi attraverso la sua gerarchia di accenti (qual è la differenza tra il segno di “’marcato” alla battuta 13, per esempio, e un “sforzato”? Potrebbe essere che il “marcato” ci dice di tenere la nota più che nello “sforzato”?), i suoi segni di arcata/fraseggio, il suo uso straordinariamente preciso dei ritmi, e così via. Sono tutti messaggi! E la cosa strana è che più si studia la partitura, più messaggi si trovano. Il compito dell’interprete è, quindi, analogo a quello di un detective: solo che non si analizza la scena di un crimine, ma si esplorano gli “indizi” che ci svelano il magico mondo di Schumann…

COME AVER CURA DEI CRINI DELL’ARCO

Ogni violinista sa che l’arco è un complemento indispensabile, e che necessita delle stesse cure destinate al violino. Tuttavia, non sempre si presta adeguata attenzione alla manutenzione dell’arco, e in particolar modo a quella dei suoi crini, che necessitano di una cura non meno scrupolosa di quella che dovremmo avere dei nostri capelli. Questo articolo dispensa vari consigli pratici in merito, e ne consigliamo la lettura a tutti i violinisti che hanno a cuore la salute del proprio arco. Clicca QUI

ALAN GILBERT E LA MUSICA DEL 21 ° SECOLO

Il direttore d’orchestra americano Alan Gilbert è dal 2009 il direttore principale della New York Philharmonic. Nell’ articolo pubblicato sul quotidiano britannico “Guardian” il 15 aprile scorso, Gilbert parla della sua concezione dell’orchestra, in rapporto con i nuovi ruoli sociali e culturali che i musicisti oggi possono esercitare nella società contemporanea. Gilbert sottolinea l’importanza della musica dal vivo come elemento primario della formazione dei nuovi cittadini, e l’esigenza di condividere la musica, anche quella contemporanea, con format che siano in linea con le moderne abitudini di ascolto (considerando anche le possibilità offerte da internet e dai social media), per poter raggiungere al meglio anche nuovi pubblici. “La gente deve abituarsi a vedere nei musicisti una funzione cruciale per la crescita nelle comunità, sia come insegnanti, leader e modelli di comportamento”, afferma Gilbert. Qui l’intervista integrale.

GLENN GOULD E APPLE

Il pianista canadese Glenn Gould (1932 – 1982) è stato un personaggio di grande importanza, non solo nell’ambito prettamente musicale. La sua modernissima concezione della registrazione musicale, che dava ampio spazio anche all’editing e all’uso della tecnologia, proietta la sua figura ben più avanti dell’epoca in cui è vissuto. Ma forse Gould non avrebbe mai immaginato che il suo approccio alla musica sarebbe diventato un modello studiato anche ai piani alti della Apple, la notissima azienda californiana che produce iPhones, iPads e computers Mac.

Nell’azienda di Cupertino, infatti, esiste anche una Apple University, una scuola interna riservata ai suoi dipendenti: nel corso tenuto dal professor Jasha Cohen a 15 managers, che già occupano posizioni di “senior leadership”, Glenn Gould è il focus principale. L’attenzione maniacale verso la perfezione di ogni dettaglio delle sue interpretazioni è, infatti, presa a modello per la formazione professionale ed etica dei dirigenti Apple, ai quali viene fatta studiare la sua incisione delle Variazioni Goldberg del 1955. E, sostiene il professor Cohen, Gould è stato anche capace di esprimere una fortissima forza creatrice, di abbattere le convenzioni e creare nuovi standard interpretativi: tutti obiettivi che, in effetti, accomunano il grande pianista con l’azienda di Steve Jobs.

L’articolo completo, in inglese, è disponibile QUI.