Pianoforti innovativi
Il nuovo gran coda Barenboim a corde parallele ha riportato l’attenzione sulle innovazioni che sono ancora possibile apportare nella costruzione dei pianoforti a coda. Mentre nella seconda metà del Novecento non ci sono state novità di particolare rilevanza nella costruzione dei pianoforti, negli ultimi anni sono stati presentati vari nuovi modelli con particolari progettuali decisamente innovativi. Segnaliamo, ad esempio, il pianoforte ungherese Boganyi, presentato nel gennaio 2015, dal design avveniristico, e con la tavola armonica in materiale composito, per una maggiore stabilità e resistenza agli sbalzi termici e di umidità: www.boganyi-piano.com. Un altro progetto di grande interesse è quello del costruttore francese Stephen Paulello (www.stephenpaulello.com), che sta ultimando il modello Opus 102, con tastiera di ben 102 tasti, che verrà presentato entro il 2015.
Piano Experience, che avrà luogo dal 25 al 27 settembre 2015, sarà il posto ideale per conoscere lo stato dell’arte nella costruzione del pianoforte. Sarà possibile provare di persona molti dei nuovi modelli presenti sul mercato e conoscere direttamente I principali protagonisti del panorama pianistico internazionale.
Il nuovo pianoforte Barenboim
Lo scorso 26 maggio alla Royal Festival Hall di Londra Il pianista argentino Daniel Barenboim ha presentato il suo nuovo pianoforte, marchiato “Barenboim”, e da lui commissionato al costruttore belga Chris Maene, in collaborazione con Steinway & Sons. Lo strumento presenta una struttura a corde parallele, come gli antichi pianoforti Erard. L’idea di questo progetto è stata ispirata a Barenboim proprio da un pianoforte Erard che egli ha avuto occasione di suonare all’Accademia Chigiana di Siena nel 2011. “Il calore e le caratteristiche timbriche dei pianoforti a corde parallele sono molto diverse dal suono dei normali pianoforti a corde incrociate, che rimane omogeneo in tutti i registri”, ha dichiarato il M° Barenboim. “Le voci e i colori chiaramente distinguibili nei vari registri, come nel pianoforte Erard di Liszt, mi hanno ispirato nell’esplorare la possibilità di combinare queste qualità con la potenza, l’uguaglianza del tocco, la stabilità dell’accordatura e gli altri vantaggi dei pianoforti moderni”. Nel seguente articolo della BBC è presente anche una video intervista a Daniel Barenboim con il suo nuovo pianoforte:
http://www.bbc.com/news/entertainment-arts-32885683?SThisFB
Un organo “a fiamme”
La tastiera del pianoforte è spesso associata all’idea di fuoco, e in alcuni casi, come per il celebre film “Great balls of fire”, lo strumento arriva anche al punto di incendiarsi. Ma oggi esiste un modo meno rischioso di suonare “con fuoco”, in maniera letterale, ossia comandando le fiamme da una normale tastiera. Il sistema, chiamato “organo di Rubens”, è basato sull’accoppiamento di vari tubi di Rubens, che emettono fiamme ad intensità variabile, proporzionale alle onde sonore prodotte dalla tastiera. Il tubo di Rubens è apparecchiatura inventata nel 1905 dal fisico tedesco Heinrich Rubens per dare un’immagine grafica delle onde stazionarie acustiche. L’organo di Rubens, chiamato anche “Fire Organ”, è stato progettato e costruito dall’azienda americana Guerilla Sciences (http://guerillascience.org/event/fireorgan/) e presentato nel 2014.
Qui un video dell’evento di presentazione:
https://www.youtube.com/watch?v=BaJczW6HgUU
Una app che sostituisce un’intera orchestra.
Lo scorso 2 giugno è stata presentata “Cadenza”, una nuova app per iphone e iPad, che apre nuove prospettive nell’integrazione tra musica classica e intelligenza artificiale. Cadenza, infatti, consente ai musicisti di suonare come solisti un concerto per strumento e orchestra, riproducendo la parte (pre-registrata) dell’intera orchestra, adattandola ai tempi e al fraseggio di ciascun utente. Essa rappresenta, quindi una notevole evoluzione dei sistemi “minus one”, integrata con un avanzato sistema di riproduzione di partiture musicali, in grado anche, tra l’altro, di ascoltare il solista e di voltare le pagine automaticamente, seguendo l’esecuzione attraverso il microfono dell’iphone o ipad. L’app è scaricabile gratuitamente fino al 12 giugno, mentre le partiture comprensive della parte audio orchestrale possono essere acquistate al prezzo di circa 4 euro l’una. Attualmente la libreria di Cadenza comprende oltre 200 brani (prevalentemente concerti classici e romantici per violino, viola, violoncello, clarinetto e tromba), e si prevede che si espanderà molto rapidamente. Cadenza è un prodotto della start-up di Boston “Sonation”. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito ufficiale:
http://www.sonacadenza.com/the-app/
Per Elisa o Per Teresa?
di Roberto Prosseda
Uno dei brani pianistici più celebri al mondo è la Bagatella WoO 58 di Beethoven, comunemente nota con il titolo “Für Elise”. Nonostante la celebrità (anche sproporzionata rispetto all’importanza del brano), esso è raramente suonato dai pianisti concertisti, forse anche per l’immagine che oggi la composizione ha acquisito, legata al mondo dei pianisti principianti e delle musiche di attesa dei centralini telefonici.
Stupisce, tuttavia, che un brano così diffuso tra gli studenti di pianoforte sia ancora oggi oggetto di vari errori di lettura, a partire dal titolo, che non è stato assegnato da Beethoven. La breve bagatella, infatti, sarebbe dedicata a Therese Malfatti, e dunque, semmai, potrebbe intitolarsi “Für Therese”, mentre il nome di Elisa sarebbe probabilmente stato inserito per errore (forse a causa di una lettura errata del nome “Therese” da Ludwig Nohl, che curò la pubblicazione postuma della prima edizione, apparsa nel 1867). La maggior parte delle edizioni attualmente in commercio presentano degli errori, legati alla prima edizione di Nohl, che fu riferimento per le altre:
http://petrucci.mus.auth.gr/imglnks/usimg/e/ed/IMSLP103834-PMLP14377-Beethoven-WoO.059nohl1867.pdf
Il manoscritto originale (non pubblicato da Beethoven) è oggi perduto. Ludwig Nohl pubblicò la Bagatella 40 anni dopo la morte dell’autore, così che né Beethoven allora, né gli altri revisori successivi poterono correggere eventuali errori.
L’edizione Henle del 1976, a cura di Otto von Irmer (HN 128), è oggi una delle più attendibili, in quanto è basata sul manoscritto di uno sketch autografo di Beethoven (il manoscritto integrale è ancora perduto), conservato alla Beethoven Haus di Bonn e consultabile online:
http://www.beethoven-haus-bonn.de/sixcms/detail.php?id=15112&template=dokseite_digitales_archiv_de&_eid=1502&_ug=Werke%20f%FCr%20Klavier%20zu%202%20H%E4nden&_werkid=200&_dokid=wm75&_opus=WoO%20%2059&_mid=Werke%20Ludwig%20van%20%20Beethovens&suchparameter=&_sucheinstieg=&_seite=1
Una prima novità che apprendiamo da questo sketch riguarda l’indicazione di tempo: Nohl (e tutte le edizioni seguenti) scrive “Poco moto” (indicazione suscettibile di interpretazioni contrastanti), mentre lo sketch autografo riporta “Con molta grazia”.
L’errore più evidente che si è poi tramandato (e moltiplicato) in quasi tutte le edizioni riguarda la battuta 7, in cui le ultime tre semicrome della mano destra sono di solito notate “Mi-Do-La”, mentre la versione corretta è “Re-Do-La”. L’errore risale alla prima edizione di Nohl, la quale, peraltro, nei successivi episodi in cui ritorna lo stesso inciso presenta invece la versione esatta “Re-Do-La”. Stupisce che moltissime edizioni successive abbiano, invece, ripetuto l’errore in tutti gli episodi analoghi (si può parlare di coerenza in tal caso?).
Lo sketch autografo riporta chiaramente il Re e non il Mi. Quanto agli aspetti musicali, è per me ovvio che si tratti di un Re, in quanto il salto di settima ascendente dato dal Re-Do crea una bellissima tensione melodica, che anticipa lo stesso motivo riportato nelle battute seguenti. Forse molti revisori allora corressero il Re in Mi, condizionati dalla inesattezza della prima edizione, perché lo ritennero un errore nella conduzione delle voci. Infatti il Re è una settima che non risolve sul do inferiore, anche se, a ben vedere, si potrebbe considerare il do della battuta seguente come una risoluzione ritardata. Viceversa, l’immediata risaluta di settima dal Re al Do all’ottava superiore può aver urtato la “sensibilità” di molti revisori. Non dimentichiamo, del resto, che in passato i revisori non si facevano problemi a correggere presunti errori di Beethoven: lo fa anche Alfredo Casella nel primo tempo della Sonata op. 111, correggendo presunte quinte parallele!
Oggi la discussione su quale sia la note giusta è ancora aperta, ma, sin dalla pubblicazione dell’edizione Henle, tutti i più autorevoli studiosi beethoveniani, e tutti i pianisti ben informati sulle fonti, concordano sul fatto che quella nota sia Re e non Mi. Le incisioni disponibili su etichetta Decca di Alfred Brendel e Vladimir Ashkenazy, ad esempio, riportano entrambe il Re.
Personalmente, non ritengo “Per Elisa” (o “Für Therese” che dir si voglia) un brano paragonabile ai grandi capolavori di Beethoven, ma ho recentemente scoperto che suonare Per Elisa in pubblico, cosa che a volte ho fatto come bis, dà una particolare soddisfazione: forse anche legata al gusto di sfatare tanti luoghi comuni, non ultimo quello del Re invece del Mi!
Come si modifica il cervello con lo studio della musica
Uno studio dell’università Milano-Bicocca, in collaborazione con il Conservatorio “Verdi” di Milano, ha indagato come cosa succede nella corteccia cerebrale dei musicisti, confrontando le reazioni a stimoli auditivi, motori e visivi di varie decine di studenti. In particolare, lo studio ha osservato come cambia anno per anno la rappresentazione in memoria dei suoni musicali, in relazione al gesto motorio necessario per produrli. Gli studenti coinvolti nell’esperimento hanno dovuto indovinare, guardando un filmato, quale nota o passaggio musicale era eseguito, così da dimostrare la loro consapevolezza del rapporto gesto-suono. È emerso che questa è proporzionale agli anni di studio, e che l’apprendimento musicale si evolve in maniera “multimodale”, ossia coinvolgendo insieme la memoria visiva, uditiva e gestuale. Maggiori dettagli nel testo originale dello studio, pubblicato qui:
http://journal.frontiersin.org/article/10.3389/fpsyg.2015.00376/full
La musica che fa bene al cuore
Che l’ascolto della musica classica abbia benefici effetti anche per la nostra salute, è stato più volte affermato. Ma un recente studio della Oxford University presentato al convegno della British Cardiovascular Society sostiene che alcuni brani classici, come “Nessun Dorma” di Puccini o “Va Pensiero” di Verdi, possano addirittura far bene al cuore, in quanto riducono l’alta pressione sanguigna e la tachicardia, in virtù del loro ritmo regolare che si sposa perfettamente con una ideale frequenza cardiaca. Maggiori dettagli sono presenti in questo articolo pubblicato lo scorso 9 giugno sul Telegraph: