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LATTE
Così il Parmigiano Reggiano ha deciso di combattere l’italian sounding negli USA
Il Consorzio del Parmigiano Reggiano alza il tiro nella lotta all’italian sounding aperta con gli Stati Uniti e oggetto anche dei negoziati Ttip tra Unione Europea e Usa. Lo si apprende da un comunicato emesso nei giorni scorsi dall’ente di tutela del Re dei Formaggi italiani. Dopo aver denunciato alla Commissione europea un fenomeno che colpisce il Parmigiano Reggiano con 100mila tonnellate di prodotti venduti negli Stati Uniti con il termine Parmesan, si legge nella nota, e in confezioni che palesemente richiamano l’Italia, il Consorzio mette ora sul piatto gli esiti di una ricerca sviluppata da Aicod che oltre al danno per i produttori italiani evidenzia la situazione ingannevole che pesa sui consumatori americani. I dati emersi dalla ricerca non lasciano dubbi. Per il 66% dei consumatori statunitensi il termine Parmesan non è affatto generico come sostengono invece le industrie casearie americane, ma identifica un formaggio duro con una precisa provenienza geografica che il 90% degli intervistati indica senza alcun dubbio nell’Italia. “Abbiamo mostrato alle persone intervistate due confezioni di Parmesan made in Usa – ha spiegato il direttore del Consorzio, Riccardo Deserti – di cui una senza richiami all’Italia e l’altra caratterizzata da evidenti richiami al Tricolore. Già nel primo caso il 38% dei consumatori ha indicato il prodotto come formaggio di provenienza italiana, ma la situazione è apparsa ancora più grave di fronte alla confezione caratterizzata da elementi di italian sounding, come ad esempio la bandiera tricolore o monumenti e opere d’arte italiane: in questo caso il 67% degli acquirenti americani è convinto di trovarsi di fronte ad un autentico prodotto italiano”. “Un inganno – ha sottolineato Giuseppe Alai, presidente del Consorzio – che negli Usa colpisce decine di milioni di consumatori e che costituisce un grave pregiudizio all’incremento delle nostre esportazioni e, conseguentemente, un danno palese anche per i nostri produttori”. Le cifre non ammettono repliche. Gli Usa si collocano al terzo posto dopo la Germania e la Francia nella classifica delle esportazioni di Parmigiano Reggiano. Negli States infatti, nel 2014 sono giunte 6.597 tonnellate di prodotto corrispondenti al 17,8% delle esportazioni complessive. Nei primi 8 mesi del 2015 si è registrato un incremento del 28,8% ed è proprio questo flusso in crescita che potrebbe letteralmente esplodere se venisse quantomeno ridotta la quantità di formaggio che negli Usa si richiama esplicitamente all’Italia. “La battaglia aperta in sede di negoziati Ttip – ha affermato Alai – non sarà certo facile perché quelle 100mila tonnellate di prodotto che circolano negli Usa sono irregolari alla luce della legislazione europea sulle Dop, ma non vengono ancora considerate tali dall’industria e dalla normativa americana. Una delle strade da percorrere per sconfiggere il prodotto che si richiama al Parmigiano Reggiano e all’Italia – è stato il suo pensiero conclusivo – potrebbe essere proprio questa ricerca che a inizio 2016 presenteremo a Bruxelles e che dimostra inequivocabilmente come i consumatori americani vengano tratti in inganno da pratiche che si traducono in un palese danno per i nostri produttori, titolari della Dop più contraffatta, imitata ed evocata nelle denominazioni che circolano negli Stati Uniti”.
ALIMENTI E SALUTE
Un libro per spiegare l’importanza della carne nell’alimentazione umana
“Alimenti di origine animale e salute”. E’ questo il titolo di un volume presentato nei giorni scorsi a Roma e realizzato dai professori Marcello Mele e Giuseppe Pulina su iniziativa di Assalzoo (Associazione nazionale tra i produttori di alimenti zootecnici) e Aspa (Associazione per la scienza e le produzioni animali) per contrastare ipotesi alimentari fantasiose e falsi miti di salubrità. Si tratta di un percorso editoriale finalizzato a chiarire le ragioni dell’indispensabilità degli alimenti di origine animale nella corretta alimentazione degli esseri umani, che si candida a essere tra le altre finalità un caposaldo della formazione universitaria nei settori della scienza alimentare negli anni a venire. “Questo libro – ha spiegato Giuseppe Pulina – è un testo al momento unico al mondo tanto per l’esaustività nella trattazione del tema, quanto per il livello di aggiornamento dell’apparato critico di riferimento. Numerosi sono gli studiosi che hanno fornito il loro contributo alla riuscita del libro, personaggi di assoluto valore. La dimensione universitaria non rende tuttavia il testo una lettura esclusiva. Al contrario, il contenuto dei vari capitoli rappresenta una guida perfetta per tutti coloro che si interessano di alimentazione e vogliono comprendere al meglio il ruolo svolto dagli alimenti di origine animale nella nostra alimentazione”. Un primo mito da sfatare è la presunta pericolosità derivante dal consumo di carni. E nel libro l’argomento viene trattato diffusamente. Le carni sono infatti una categoria di alimenti estremamente complessa che, purtroppo, viene spesso considerata solo come rossa o bianca, perdendo così buona parte delle informazioni nutrizionali legate alla specie di provenienza e alle caratteristiche del sistema di produzione che le ha generate. Analogo discorso vale per il latte e i suoi prodotti di trasformazione per i quali la variabilità riscontrabile nel nostro Paese è ancora più ampia di quella delle carni. Il capitolo dedicato a questa categoria di alimenti mette in luce gli aspetti positivi che essi esercitano sulla salute grazie al loro contenuto in aminoacidi essenziali, calcio, vitamine, lipidi funzionali e peptidi bioattivi, senza tuttavia tralasciare i potenziali effetti legati ai fenomeni di intolleranze e allergie ad alcune loro componenti. Il libro si completa infine con la descrizione degli aspetti nutrizionali dell’uovo e degli effetti che il sistema di allevamento, il tipo genetico e l’alimentazione della gallina esercitano sulle caratteristiche nutrizionali e qualitative del prodotto.
ENERGIE RINNOVABILI
Il ruolo del digestato per contrastare i gas serra
In un articolo pubblicato sul n. 48 della rivista settimanale Terra e Vita, il professor Fabrizio Adani del Gruppo Ricicla-DiSAA Università degli Studi di Milano affronta il tema dei gas serra, al centro della Conferenza sui cambiamenti climatici conclusasi nei giorni scorsi a Parigi (Cop21). “L’agricoltura – scrive il docente universitario – contribuisce per il 20% al totale delle emissioni: metano e protossido di azoto direttamente dall’agricoltura e CO2 indiretta derivante dai prodotti che l’agricoltura usa come i fertilizzanti o i combustibili”. Cosa c’entra il digestato con la riduzione dell’effetto serra? Si chiede Adani. “Si dice che l’uso del digestato permette di stoccare sostanza organica nel suolo con conseguente riduzione della CO2 atmosferica. E’ forse il momento di fare chiarezza su questo punto al fine di smorzare false speranze e dogmi. La riduzione dell’effetto serra per mezzo di stoccaggio di CO2 nel suolo implica la possibilità di stoccare tale carbonio per secoli o meglio millenni. La scienza ormai ci spiega che i meccanismi di stoccaggio della sostanza organica nei suoli per lunghi periodi, secoli e millenni, soprattutto nei climi temperati non passano attraverso i processi di umificazione (concetto ormai superato e senza fondamento scientifico) ma attraverso meccanismi più complessi. Possiamo però dire che l’uso del digestato, come peraltro l’uso del compost, non permette di stoccare carbonio nel suolo per lunghi periodi e che quindi il paradigma: uso del digestato=riduzione dell’effetto serra è incosistente e senza base scientifica. Diverso è il discorso secondo il quale l’uso del digestato permette di mantenere un adeguato contenuto di sostanza organica nel suolo migliorando la fertilità chimica, fisica e biologica del suolo. Il digestato come fertilizzante rinnovabile è il paradigma che preferiamo in quanto trova fondamento scientifico e applicazione pratica. La digestione anaerobica quindi è un’utile biotecnologia per trasformare le biomasse in fertilizzanti che possono sostituire integralmente i concimi di sintesi, come peraltro poi dimostrato anche con sperimentazioni in pieno campo. La trasformazione delle biomasse agricole e/o rifiuti organici in biogas/biometano secondo approcci virtuosi e corretti permette senza dubbio un contributo importante per la riduzione dell’uso di combustibili fossili e quindi, quale conseguenza, per la riduzione dei gas serra: basti pensare che circa il 3-5% dell’energia mondiale è utilizzata per produrre concimi di sintesi”.