Registrazioni musicali e chirurgia plastica
(di Roberto Prosseda)
L’editoriale di Luca Ciammarughi pubblicato su Classicaviva: LEGGI QUI
solleva numerose questioni sul senso attuale delle registrazioni musicali: come cambia l’approccio dell’interprete, se egli suona in studio di incisione piuttosto che in concerto? È giusto suonare in modo differente, o invece l’incisione dovrebbe essere una “istantanea” di una esecuzione dal vivo, in cui le piccole imperfezioni debbano essere lasciate? Oggi i punti di vista sono diversi e spesso opposti. C’è chi, come il pianista Grigory Sokolov, autorizza solo la pubblicazioni di CD che riportino esecuzioni dal vivo senza alcuna modifica, lasciando quindi anche le (poche) sbavature inevitabili in un concerto live.
C’è perfino chi si spinge a sostenere che gli interventi di editing in post produzione siano paragonabili alle operazioni di chirurgia plastica: mirano ad ottenere una presunta, ideale perfezione, che rischia però di snaturare la spontaneità e la profondità dell’espressione stessa.
A mio parere, la sempre maggiore possibilità di intervenire con software di audio editing per “migliorare” le esecuzioni ed eliminare le imperfezioni non è necessariamente un problema che mette a repentaglio la sincerità dell’espressione. Tutto dipende, naturalmente, dalle premesse e dagli obiettivi di chi decide di incidere un disco. Spesso l’obiettivo non è strettamente connaturato al messaggio musicale: ma se lo scopo finale è solo quello di dimostrare che si è in grado di suonare in modo impeccabile, già si vanifica l’impresa nelle premesse.
Del resto, se pensiamo ai grandi interpreti di musica classica (e non solo), quasi tutti quelli che sono rimasti nella storia dell’interpretazione lo hanno fatto grazie alle loro incisioni, più che con i concerti dal vivo. Ciò perché le incisioni hanno una vita più lunga. Gli eventi live possono perdurare solo nel ricordo, ma difficilmente il ricordo è tramandabile tra le generazioni, a meno che non sia, appunto, registrato. Il concerto è un modo per prolungare la vita di un disco, per estenderne il messaggio con la condivisione dal vivo. Inoltre, il disco, a differenza del concerto, rappresenta un messaggio in cui l’artista si riconosce a pieno, almeno nei casi in cui il CD sia autorizzato dal musicista che lo ha inciso. Per questo ritengo, d’accordo con Glenn Gould, che l’incisione di una performance musicale sia un’opera che ha un suo alto valore artistico, anche superiore ad un concerto dal vivo, ma solo nel caso in cui riesca ad esprimere un’idea poetica precisa e coincidente con quella dell’interprete.
Dal mio personale punto di vista, posso testimoniare che i moderni strumenti di post produzione del suono sono, appunto degli “strumenti”: possono essere messi al servizio delle proprie intenzioni musicali, quando non se ne abusa, per dare all’interprete l’agio sufficiente a tentare le strade migliori per dar vita alle proprie idee musicali. Viceversa, in mancanza delle idee, anche un’esecuzione senza tagli, da “percorso netto”, risulterà del tutto sterile.
Dunque ciò che più conta per un interprete è avere un’idea forte, convinta e radicale della propria visione del brano. Senza di questa, un’esecuzione “perfetta” dal punto di vista della correzione testuale non avrà comunque alcuna ragion d’essere, al di là di egocentrismi e narcisismi. Viceversa, quando l’idea poetica è forte e ben definita, potrà giungere efficacemente anche nel concerto dal vivo, e non sarà certo una sbavatura a minarne l’intensità.
Un nuovo accordatore automatico per chitarre
Bassam Jalgha è un giovane ingegnere di Beirut, che ha creato un nuovo accordatore elettronico capace di accordare automaticamente e in modo continuativo le chitarre. Il sistema, chiamato “Roadie”, consiste in una piccola chiave che attacca alle caviglie su cui sono avvolte le corde. Attraverso il suo software, Roadie analizza il suono prodotto dalle corde e ne modifica la tensione per mantenerle accordate. Una app dedicata include i profili per vari tipi di chitarre, così che Roadie possa funzionare con diverse accordature. È anche presente un sistema che monitora il grado di usura delle corde, segnalando quando è necessario sostituirle.
Roadie è sul mercato dal Novembre 2014 e costa 99 dollari.
Maggiori dettagli su questo articolo, pubblicato dal Wall Street Journal il 24 gennaio 2016:
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Sito ufficiale:
https://www.roadietuner.com/
Chopin secondo Checco Zalone
Il comico pugliese Checco Zalone è oggi sulla cresta dell’onda grazie al successo del suo film “Quo vado”, che ha battuto tutti i record di incasso per un film italiano. Pochi sanno, però che Checco Zalone suona anche il pianoforte, e in passato si è profuso anche in gag comiche sulla musica classica. Segnaliamo, ad esempio, questa sua apparizione radiofonica per la Radio Svizzera Italiana, prodotta nel 2010, in cui Zalone si presenta come pianista specializzato nell’interpretazione di Chopin, alludendo a improbabili connessioni tra Chopin e la Puglia.
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La Henle lancia la sua app per iPad
Il 3 Febbraio 2016 la casa editrice tedesca Henle Verlag ha lanciato la sua nuova app per iPad: Henle Library. Non si tratta soltanto della versione digitale delle ben note partiture Urtext, ma di una app radicalmente innovativa, che offre possibilità finora mai viste per i musicisti che usano l’iPad per leggere le partiture. Ad esempio, è possibile selezionare il formato (orizzontale o verticale) e il layout dei pentagrammi, stabilire il numero di pentagrammi per ogni pagina e visualizzare le note critiche direttamente sui passaggi musicali a cui sono riferite. Con un particolare sistema di inserimento di testo tramite una penna elettronica o con tastiera virtuale si possono aggiungere annotazioni personali alla partitura. Viceversa, è anche possibile non visualizzare le diteggiature delle Henle, oppure scegliere quelle preferite, tra due o tre alternative proposte. Per esempio, per le Sonate di Beethoven sono disponibili le diteggiature di Conrad Hansen, Murray Perahia o Eugen d’Albert. Per le Partite per violino di Bach, si può scegliere tra le arcate di Igor Ozim, Midori Seiler o Christian Tetzlaff.
Molta attenzione è stata posta alle esigenze di chi usa l’Ipad per suonare in concerto: la app è infatti compatibile con i sistemi di voltapagine bluetooth a pedale, e tutte le sezioni “da capo” sono riscritte per esteso per evitare di voltare pagine indietro.
Ogni partitura della Henle Library è acquistabile online, con il vantaggio di poter comprare anche soltanto una sezione delle partiture: ad esempio, un solo Preludio e Fuga del Clavicembalo ben Temperato, o la sola parte del secondo violino di un Quartetto di Beethoven, con sensibile risparmio economico.
Fra alcuni mesi la Henle Library sarà disponibile anche per i tablets Android.
Maggiori informazioni su www.henle-library.com
Felix Mendelssohn: un grande compositore ancora da riscoprire
(di Roberto Prosseda)
Felix Mendelssohn (3 febbraio, 1809 – 4 novembre 1847) è tuttora il più sottovalutato tra i grandi musicisti del XIX secolo. Nato ad Amburgo nel 1809 da una famiglia ebrea alto borghese, nipote del grande filosofo Moses Mendelssohn, si distinse per un’intelligenza illuminata molto atipica per i suoi tempi. Fu pianista, direttore d’orchestra, compositore, scrittore, poliglotta, disegnatore e pittore, ma anche organizzatore, fondatore e direttore del Conservatorio di Lipsia. Grazie a Mendelssohn, la musica di Bach è stata rivalutata (fu lui a riscoprire la Passione secondo Matteo) e da allora è stata riconsiderata come il fondamento della musica colta occidentale.
A causa delle persecuzioni antisemite di cui fu vittima, culminate con la censura della sua musica da parte del regime nazista, l’opera e la figura di Mendelssohn sono state a lungo misconosciute e fraintese. Il grande direttore tedesco Kurt Masur, uno dei più autorevoli interpreti di Mendelssohn, ha dichiarato: “Quando avevo 12 anni, durante il Nazismo, studiavo con un insegnante che mi assegnò le Romanze senza Parole, ma mi disse che era vietato suonarle, per cui mi impose di studiarle con le finestre chiuse. D’altronde durante il Terzo Reich la presenza della polizia segreta era molto forte.”
La statua di Mendelssohn che campeggiava di fronte al Gewandhaus a Lipsia fu distrutta dai nazisti il 9 novembre 1936. E con la statua si cercò di cancellare anche la musica di Mendelssohn, di farla sparire dalla storia: al punto che nel 1938 il regime di Hitler commissionò a Carl Orff di riscrivere le musiche di scena per il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, volendole sostituire a quelle, già celebri, di Mendelssohn.
Anche a causa di questi fatti storici, Mendelssohn ancora oggi attende una completa rivalutazione: alcune sue composizioni sono tuttora inedite e ineseguite, ed un catalogo delle sue musiche completo e scientificamente curato è stato pubblicato solo nel 2009 da Ralf Wehner (Breitkopf & Härtel). La sua reale importanza nella storia della musica sfugge ancora a molti. Del resto, come nota Kurt Masur, dobbiamo pensare che Mendelssohn era tedesco, per cui attirò i nemici dei tedeschi; era ebreo, ed ebbe i nemici degli ebrei. Ma poi fu battezzato. Per cui era seduto su tre sedie. Nessuno diceva “Questo è il nostro uomo”. Sentiva di essere tedesco, compose molti Lieder su testi di Heine, ma fu rifiutato dal Paese a cui apparteneva e che amava.
Mendelssohn non era un ebreo praticante, e, come i suoi fratelli, si convertì al protestantesimo su spinta del padre Abraham, a sua volta convertito. Tuttavia, nella sua musica vi sono molti echi della cultura ebraica, con uso frequente di formule melodiche derivate dalla musica tradizionale ebraica. Spesso in una stessa opera Mendelssohn fa convivere elementi di origine ebraica con altri di matrice cristiana: i due grandi oratori Paulus e Elias sono emblematici in tal senso. Non sappiamo quanto Felix abbia letto degli scritti del nonno Moses Mendelssohn, ma l’attitudine alla tolleranza e l’ottimismo dell’illuminismo rappresentano certamente un forte legame con Moses. L’ottimismo idealistico, ma integrato con un approccio pragmatico nella vita reale, fu, del resto, una delle più belle eredità lasciate dalla famiglia Mendelssohn.
Il rapporto di Mendelssohn con la musica e con il suo significato era di grande modernità, e ciò si evince da una lettera che Mendelssohn scrisse a Marc André Souchay nel 15 ottobre 1842: Ciò che mi comunica la musica da me amata non è affatto troppo vago per essere convertito in parole, ma, al contrario, è troppo definito. Se mi si chiedesse a cosa pensavo mentre componevo un Lied ohne Worte, io risponderei: proprio la musica così come l’ho scritta. E se anche mi fosse capitato di avere in mente alcune parole per uno o l’altro di questi Lieder, non vorrei mai dirle ad alcuno, poiché le stesse parole non hanno lo stesso significato per diverse persone. Solo la musica può avere il medesimo significato per tutti, un significato che, comunque, non può essere espresso con le parole.
Mendelssohn incarna il perfetto connubio tra tradizione e innovazione: ha sperimentato nuove strutture musicali senza mai perdere il suo peculiare equilibrio formale, ha recuperato la grande tradizione della musica sacra di Bach e di Händel rinnovandola alla luce dell’esperienza del Romanticismo tedesco. Se Mendelssohn non fosse esistito, l’evoluzione della musica nella seconda metà dell’Ottocento sarebbe stata certamente molto diversa.
Forse ora i tempi sono finalmente maturi per riscoprire la vera grandezza di questo artista.
Martin Berkofsky e le motivazioni del far musica
(di Roberto Prosseda)
Quando incontro studenti di pianoforte in occasione di master class o audizioni, la prima domanda che pongo loro è: “Perché tu suoni?”. Mi interessa, cioè, sapere quale è la loro motivazione profonda, o se hanno un obiettivo a lungo termine che li sprona a trascorrere tante ore al giorno nello studio di uno strumento. Nella maggior parte dei casi, a questa domanda seguono reazioni di imbarazzo o di stupore. Chiedere “Perché tu suoni?” crea disagio. Il motivo più evidente di questo disagio è spesso legato al prendere atto che si fa qualcosa da tanti anni senza essersi mai chiesti realmente il perché. Ciò non vuol dire che non vi sia un perché, ma, piuttosto, che spesso la routine dello studio quotidiano e della vita scolastica o professionale rischia di offuscare le nostre motivazioni più profonde.
C’è chi risponde: “Suono perché ho iniziato sin da piccolo e ormai voglio arrivare al diploma”. Oppure: “Suono perché voglio diventare un concertista ed essere famoso e ricco”. Motivazioni comprensibili, ma forse legate più ad una presa d’atto di ciò che gli altri (genitori, insegnanti, amici) si aspettano da noi, che non a ciò che noi realmente sentiamo. Spesso si tende a confondere un obiettivo a medio o lungo termine, come il diploma del conservatorio o la vittoria di un importante concorso internazionale, con la motivazione profonda, che va, evidentemente, cercata altrove.
Del resto, dedicare una vita alla musica è una scelta radicale e chiaramente dettata da una forte passione: non si tratta di una strada che offra particolari garanzie di successo professionale o di arricchimento economico, e va da sé che ci deve pur essere una forte spinta interiore. A molti piace suonare perché tramite la musica riescono a vivere più intensamente, o perché sviluppano una sensibilità di ascolto e di sguardo interiore che impreziosisce ogni giornata, o perché la disciplina di uno studio costante e metodico aiuta a raggiungere un migliore equilibrio interiore. Tutte motivazioni condivisibili e legate al proprio vissuto e alla propria sensibilità.
Vorrei quindi porre l’accento sull’importanza della consapevolezza delle proprie motivazioni: solo mettendo a fuoco i propri obiettivi e le proprie aspirazioni profonde, e non confondendole con le aspettative che gli altri possono avere su di noi, riusciremo a trovare una via sincera e proficua per trovare, nella musica, le risposte alle nostre domande.
Mi piace in questo contesto ricordare il grande pianista Martin Berkofsky (1943 – 2013), artista di eccezionale talento, intensità e spiritualità. La sua visione filantropica del far musica come mezzo potente e infallibile per condividere bellezza e per superare momenti dolorosi è ben sintetizzata dalle sue stesse parole: “Il ruolo dell’interprete è di donare bellezza e ispirazione agli altri, e di farlo con la più onesta e umile ricerca di questi valori in noi stessi, nella volontà di creare un mondo migliore. La musica cura. Porta la pace allo spirito, gioia al cuore, conforto al corpo fisico. Trasforma l’umanità in fraternità. Incoraggia a lottare con generosità per gli altri, per alti ideali. A dedicare se stessi e il nostro lavoro per quel che nobilita lo spirito umano, a superare e risolvere, anche le malattie e i conflitti più dolorosi, e tiene alto il piano dei valori per i quali ci impegniamo in prima persona”.